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Il calendario completo del campionato di Serie A Tim 2023-2024, per il secondo anno con gironi asimmetrici, quindi senza corrispondenza tra le gare di andata e quelle di ritorno, ma con 38 giornate sorteggiate singolarmente in cui cambierà sia l’ordine delle partite che la composizione di ogni turno.
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La Serie A è la maggiore divisione del calcio professionistico italiano. La sua nascita è avvenuta nel 1929-30, in sostituzione della Divisione Nazionale, con una formula a girone unico che ha fatto da sfondo alla straordinaria crescita del calcio tricolore negli anni successivi. Soltanto nel 1945-46 questa formula fu sostituita da gironi territoriali che fecero da prodromo ad un girone finale per l’assegnazione del titolo. Un accorgimento reso necessario dalle distruzioni operate dalla guerra, tali da rendere impossibili collegamenti tra le parti opposte del Paese. Già nell’anno successivo la Serie A tornò al girone unico e riprese il suo posto di eccellenza nel panorama dei maggiori campionati continentali.
Alcuni dei momenti più importanti che hanno segnato la storia del campionato di Serie A.
Nella grande storia della Serie A sono stati tanti i giocatori bizzarri. Ce ne sono però due di cui ancora oggi si parla a distanza di decenni dalla loro comparsa sui campi del Belpaese. Non solo per le prodezze calcistiche, ma anche per le alzate di ingegno che riempirono all’epoca le cronache sportive e non. Si tratta di Helge Bronée e Denis Law. Andiamo quindi a conoscerne più da vicino la storia.
Helge Bronée arrivò in Italia nell’estate del 1950. A farlo giungere nel nostro Paese fu Raimondo Lanza di Trabia, presidente del Palermo alla ricerca di una vera e propria attrazione per la sua squadra. Che trovò nel danese, in quel momento di stanza a Nancy, in Francia, su consiglio di Gipo Viani. Il quale ebbe tempo e modo, negli anni successivi, di pentirsi amaramente di averlo dato.
Quando arrivò in Sicilia Bronée era già abbastanza avanti negli anni, avendone compiuti 28. In campo, però, era in grado di mostrarne molti di meno, per effetto di una invidiabile freschezza atletica. La quale si univa ad una tecnica di altissimo livello, in un mix che però, nelle giornate di luna storta spariva in maniera irrimediabile, lasciando in pratica la squadra in dieci.
Ben presto, il suo rapporto con Gipo Viani si fece molto problematico. Il tecnico avrebbe desiderato dal fuoriclasse danese un maggiore impegno, che però il giocatore non era in grado di assicurare in ogni gara. Sino al fattaccio che guastò del tutto i rapporti tra i due. Nel corso di una gara, infatti, Viani sfogò tutta la sua esasperazione mettendo le mani addosso a Bronée, individuando in lui il responsabile della sconfitta, probabilmente non a torto. Secondo i giornalisti presenti, infatti, il danese si era segnato un autogoal assolutamente intenzionale non gradendo il catenaccio inscenato dal tecnico. Il centrocampista non reagì al momento, ma si ripromise di farla pagare all’allenatore quanto prima.
L’occasione per farlo arrivò nell’estate del 1952, quando alla porta del Palermo bussò la Roma, appena tornata in Serie A dopo un anno di purgatorio. Renato Sacerdoti si era messo in testa di assemblare una squadra fortissima e proprio Bronée fu individuato come la ciliegina di una torta sulla quale già erano stati aggiunti Pietro Grosso, Egisto Pandolfini, Mario “Toceto” Renosto e Giancarlo Bacci.
Quando fu messo al corrente della richiesta proveniente dalla capitale, Bronée potè finalmente cogliere la rivincita attesa. Per dare il suo consenso chiese ed ottenne l’allontanamento di Viani, in assenza del quale ebbe la possibilità di dispensare i suoi colpi di teatro anche a Roma.
Ove trovò una impagabile spalla in un altro grande istrione, ovvero il portiere Bepi Moro. I siparietti tra i due diventarono una vera e propria consuetudine, sfociando in quello impagabile messo in atto a Marassi, nel corso di una gara con la Sampdoria che vide i giallorossi schiacciare i doriani nella loro area di rigore, senza però riuscire a segnare la rete che avrebbe sbloccato la contesa. Ad un certo punto, infatti, il danese gridò a Moro di andare a dare una mano in attacco, assecondato dal portiere, tra il divertimento del pubblico e la disperazione di Mario Varglien, assunto al posto di Viani anche perché non ne possedeva la personalità.
L’epopea romana di Bronée durò per due anni e terminò a causa di un diverbio con un dirigente, Campilli, entrato incautamente negli spogliatoi mentre infuriava la zuffa tra lui e il compagno di squadra Arcadio Venturi, ormai giunto all’esasperazione verso le stranezze del fuoriclasse nordico. Bronée fu messo fuori squadra e inviato a giocare con la squadra riserve. Gli sarebbe bastato scusarsi per quanto accaduto, per essere reintegrato, ma decise di non farlo. Alla fine la dirigenza si arrese e arrivata alla risoluzione dell’impossibilità di rimetterlo in riga decise di cederlo alla Juventus. Terminò la sua esperienza italiana al Novara, per poi lasciare una vera e propria folla di innamorati inconsolabili. Il cui timore era quello di non poter più trovare un pazzo in grado di farli divertire tanto.
Non avevano però fatto i conti con Denis Law, fuoriclasse scozzese noto per una carriera di assoluto rilievo con il Manchester United e il Pallone d’Oro vinto nel 1964. Appena due anni dopo aver dismesso la maglia del Torino e, soprattutto, aver messo a soqquadro il capoluogo sabaudo in coppia con il connazionale Joe Baker.
A portarlo in Piemonte era stato Gigi Peronace e all’inizio sembrò l’inizio di un grande amore, in grado di far dimenticare almeno parzialmente ai tifosi granata la tragedia di Superga. Law non tardò infatti a mettere in mostra le doti che gli erano valse in patria il soprannome di “The King”. Tecnica superba ed estro inarrivabile, trovò una degna spalla in Baker, aprendo il cuore della tifoseria ad una rinnovata speranza.
Law, però, era anche un ragazzo cui piaceva molto divertirsi. Tanto da diventare un affezionato frequentatore di locali e night club, ove poteva sfogare la passione per le grandi bevute. Campi in cui anche Baker non aveva eccessivo bisogno di sollecitazioni. I due scozzesi divennero così tra i più scatenati interpreti locali della Dolce Vita sabauda, anche se il loro rendimento non ne risentì eccessivamente sul campo. Ove Law ricamava e Baker fungeva da ariete, risvegliando entusiasmi nella parte granata della città, ormai assopiti da tempo.
Almeno sino a quando, dopo l’ennesima notte di bagordi, la vettura guidata da Law non andò a sfracellarsi contro una statua. I due giocatori ne uscirono praticamente illesi, mentre andò in pezzi il rapporto con tifoseria e dirigenza granata. Con la seconda che non si fece pregare alla fine dell’anno per rispedire Law al Manchester United, ove questi dette vita ad un trio delle meraviglie con Bobby Charlton e George Best, conquistando anche la Coppa dei Campioni nel 1968.